Oggi è il 6 giugno: nel 1944 in Normandia fu il giorno dei giorni, passato alla storia e conosciuto da tutti come D-Day. Lo sbarco segnò l’inizio delle operazioni militari americane in Europa, in contrapposizione alle forze naziste insediate in tutta la Francia del nord.
L’operazione Overlord fu una delle operazioni militari più complesse e pericolose della storia e consistette nel creare una breccia nelle fortificazioni situate lungo tutta la costa francese del canale della Manica. Durante quella notte oltre centomila soldati americani, inglesi e canadesi vennero paracadutati o lasciati sulle spiagge, sotto il fuoco dei nazisti, per creare una testa di ponte e consentire nuovi sbarchi nei giorni successivi. In tutta l’operazione vennero sbarcati 850 mila soldati, di cui oltre 40 mila persero la vita.
Il mio viaggio in Normandia risale ormai a sette anni fa, durante uno splendido interrail tra Francia e Spagna in compagnia di Giulia: 40 giorni tra treni e campeggi, tra sidro e pain au chocolat.
Quando studiavo alle superiori lo sbarco in Normandia era uno degli argomenti che mi aveva sempre affascinato, e la Normandia era una delle tappe a cui tenevo di più. Inoltre numerosi film, come il famoso “Salvate il soldato Ryan” e la miniserie di dieci episodi “Band of Brothers” di Steven Spielberg e Tom Hanks, mi avevano fatto appassionare ulteriormente a questa storia.
Dopo qualche giorno a Parigi, arrivammo con un piccolo treno a Bayeux, cittadina medievale nota per il suo arazzo, dove facemmo base in un piccolo e tranquillo campeggio appena fuori dal centro abitato.
Con un pullman locale è possibile raggiungere le famose spiagge dello sbarco: Juno, Sword, Gold, Utah e Omaha. Quest’ultima è la più famosa di tutte, dove caddero più di quattromila soldati americani, lasciati a morire sotto il fuoco delle batterie tedesche, protette da pesanti fortificazioni ancora visitabili lungo tutta la costiera.
Il cimitero americano di Omaha beach è qualcosa di incredibile: qui sono sepolti oltre 10 mila soldati caduti in quei giorni, una sterminata distesa di croci bianche, tutte perfettamente allineate, tutte uguali, ad indicare che una volta morti siamo tutti uguali.
La spiaggia è lunga più di otto chilometri e percorrendola, durante quella giornata piovosa, sembrava ancora di sentire i colpi di cannone, le bombe lasciate dagli aerei e i carri armati che correvano sulla spiaggia. Ogni tanto è possibile trovare parti metalliche arrugginite appartenute a chissà quale macchina militare e segni di proiettili sulle pietre. Nel museo dello sbarco a Vierville-sur-mer sono presenti alcune delle macchine recuperate dopo la fine della guerra, armi ed oggetti appartenuti ai soldati, risalenti a quei giorni.
A Pointe du Hoc è ancora più palese il ricordo di quei giorni: i crateri rimasti fanno sembrare l’area una parte di suolo lunare e ricordano le bombe sganciate dai nazisti sui ranger americani impegnati a scalare le alte falesie che dividono tutt’ora il mare dalla terra.
A distanza di più di settant’anni, il ricordo di quella notte è ancora forte. Un viaggio da queste parti fa rivivere la storia.
Le foto sono di Giulia Margstahler.
Lettura consigliata:
D-Day. La storia segreta di Larry Collins, libro che mi ha accompagnato durante il viaggio.